Sadic Tale;, La Congrega

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view post Posted on 24/9/2009, 20:12
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“Ciò che si è perso, sono le tenebre del tempo. Ciò che incontrerai sono frammenti di passato e di futuro.”

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Se non vi piace leggere di violenza, sangue, ingiustizie e robe varie non aprite lo spoiler!

Altrimenti.. Buona lettura :asd:

Se non avrete nulla in contrario, ma, soprattutto, se vi piacerà, andrò avanti con la storiella >.<

SPOILER (click to view)
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PROLOGO:

Un dolce ricordo

Sebbene avessi ancora l’amaro e il sapore della ruggine in bocca, non potei fare a meno di ricordare Edward. Il profumo delle sue camicie bianche appena stirate da Lily, il suo orologio nero di cuoio, la sua collana d’argento di Cristo, sebbene odiasse Dio, l’odore penetrante delle sue sigarette. Sentire proprio quell’ultima fragranza che da piccola credevo disgustosa, mi fece pensare a lui. E poi mi ritrovai a fissare Lukka, con il pugno alzato, le nocche sporche di rosso, l’anello macchiato del suo peccato più grande: quello di picchiarmi.
Lo guardai con due occhi tristi, che ricordavano il dolore di un cucciolo di foca appena ammazzato a sprangate dai bracconieri. Quel cucciolo di foca era morto, ma io no. Forse fu proprio il concetto ‘morta’ a farlo incazzare tanto. Ma per spigare, devo tornare indietro di mesi e mesi, anche anni, a quando vidi la luce per la prima volta.

La donna che mi partorì si chiamava Rechel Robinson, di origine americana, ma al momento del mio concepimento si trovava a Londra. Quando nacqui io, eravamo nella bella Italia. Nacqui a Roma, la bella capitale, e poi ci trasferimmo (o almeno lei trasferì me) nella bella Verona, una città non troppo grande nel nord. Verona è la romantica cittadina del balcone di Romeo e Giulietta, l’unica e sola opera di Shakespeare che abbia mai letto. Mi innamorai di quella città come mi innamorai nella mia burrascosa pre-adolescenza. Rechel mi tenne con sé fino all’età di un anno e mezzo, per poi affidarmi a dei miei fratelli, che non sapevo nemmeno di avere. Il fatto era che il mio padre biologico (mai conosciuto nella mia fantastica vita) era abbastanza vecchio, e aveva avuto altri figli prima di fare il furbo con Rechel. Quest’uomo si chiama Fred Smith, un’inglese birichino e molto ricco. La sua età, in modo piuttosto approssimato, si aggira intorno alla sessanta cinquina. Avevo detto vecchio? Mi correggo, decrepito. Un mascalzone, per come la vedo io. Solo che non uso altri termini perché mi sono ripromessa di limitare al massimo gli insulti e le parolacce. Esatto, Rechel non aveva veramente voluto un figlio (in questo caso me) da quella volpe di Fred, ma lui l’aveva incantata con il suo potente charme e i numerosi bigliettoni che sembravano uscirgli da cul.. Insomma avete capito. Una cosa che questo farabutto amava era imprigionare le sue canarine mettendole incinta. Spesso, anzi, sempre, erano ragazze giovani senza futuro, con un passato ondulato ed incerto, e soprattutto, povere. Alcune le usava solamente, altre le aveva volute imprigionare. Le due precedenti di mia madre si chiamavano Stacy e Noemi (cognomi sconosciute). Io penso che siano morte, ma non ne ho mai avuto la conferma. Da queste due, un po’ più vecchie di Rechel, Fred aveva avuto cinque maschi, tre da Stacy, due da Noemi. il più grande, nato nel 1988 si chiama Edward, ed è diventato una persona importante come suo padre. Adesso ha ventidue anni, ma già al suo ventesimo compleanno era un medico eccellente, e aveva ancora molta strada da fare.
Il secondo e il terzo erano due splendidi gemelli, di nome Rikki e Lukka. Sono nati nel ’90 e vanno per i vent’anni. Personalmente penso che siano uguali nell’aspetto, ma completamente diversi caratterialmente, come succede spesso con i gemelli. Però sono anche molto uniti, forse troppo, per me. Il primo figlio di Noemi si chiamava Dean, ma era morto appena nato. Quando l’ho scoperto non ho avuto un grande vuoto. Un fratello in più o uno in meno non mi cambiava la vita. Il secondo si chiama Jeff, ed è perfino più piccolo di me di un anno! Curioso, vero? Il fatto è che Rechel non era scappata in Italia per farsi una gita solare, ma per scappare da Fred. E, mentre lui la faceva scovare da una cinquantina dei suoi scagnozzi in giro per Roma, si scopava di nuovo Noemi, e l’aveva messa in cinta, di nuovo. Lei era terrorizzata, avendo già perso uni figlio, ma Jeff nacque in perfette condizioni, tanto che già ad undici anni mi superava di altezza e di muscolosità, anche se io avevo quasi tredici anni.

Dopo un anno e mezzo a Verona, Fred finalmente riuscì a scovare Rechel e la riportò a casa. Penso che la bastonò così tanto per essere fuggita da lui, che non si alzò dal letto per una settimana. Fred morì dopo meno di un mese, di infarto. A quel punto, Edward, il suo primo erede, diventò il capo della famiglia, nonché mio tutore. Rechel fu cacciata da Londra. Vivere con i miei fratelli non era fu per niente facile. Direi, invece, che fu l’incubo più grande di tutta la mia fantastica vita. Edward non aveva tempo e voglia di badare a me: doveva studiare bene, ed in fretta, per garantirsi subito un lavoro prosperoso, e ci riuscì eccome. Fred non ci aveva lasciato assolutamente a mani vuote: era un uomo potente, e aveva molte conoscenze, in qualsiasi campo. Edward si fece aiutare da un vecchio amico di Fred, di nome Riccardo, di origini siciliane. Subito non riuscii veramente a connettere il fatto che fosse siciliano. Quando avevo cinque anni, poi, capì.
Edward era il capo di tutta la mafia nel nord Italia, della mafia di tutta l’Inghilterra, di tutta la Francia. Praticamente, di tutta Europa. Era questo il lavoro di Fred: essere un oppressore. Ed Edward aveva preso il suo posto. Questa nuova mafia si chiamava Congrega, e nessuno sapeva che esistesse e tutti lo sapevano. Appena nate, le società, sono più forti che mai. E, purtroppo, la Congrega crebbe sempre di più, ed arrivò fino in America, e in qualche parte dell’Asia. Edward aveva un debole per me. In una famiglia di soli maschi, la femmina era la luce, la felicità, il sorriso e la risata. Al contrario, gli altri miei fratelli non la pensavano a quel modo. Mi consideravano una schiava, ‘la donna di casa’, la domestica, la loro balia, la loro prostituta. Abusavano su di me, sulla mia debole mente, sul mio corpo, su qualsiasi cosa fosse in loro possesso. E mi picchiavano. Dannazione, se mi picchiavano! Non c’era giorno che non mi tirassero dietro qualcosa, che non volasse uno schiaffo, che non si togliessero la cintura per battermela sulla schiena. Non andavo a scuola, veniva un maestro privato. Quindi non avevo nemmeno la possibilità di vedere come erano le famiglie normali. Non avevo quasi mai visto un’altra femmina in casa mia. Solo qualche domestica, che poi venne licenziata perché la domestica lo ero diventata io. Tuttavia, non ero un maschiaccio. Rikki adorava vestirmi, comprarmi abiti, trucchi, scarpe. Mi prendeva divise da cameriera, vestiti scollati, minigonne. Ed io pensavo che tutto quello fosse normale. Che tutte le ragazze di tutta Londra fossero così. Mi hanno nascosto la verità per dodici lunghi anni e questo non potrò mai perdonarglielo.

Tutti questi flashback scomparirono quando Lukka mi lasciò cadere sul tappeto. Si guardò le mani, un po’ disperato, un po’ incredulo, un po’ dispiaciuto.
“Quelli come noi non cambiano, Ventiquattro” mi disse infine. Poi abbassò lo sguardo sulle sue ginocchia piegate.
“Avevi ragione tu” ammise con la voce roca.
“No!” urlai piangendo “tu puoi cambiare! Tutti noi possiamo, tu.. tu devi cambiare, Lukka! Per me, per Edward, per tutto il mondo” le ultime parole mi si spezzarono in una voce acuta, quella del pianto. Odio piangere. Soprattutto davanti a loro. Ma non riuscivo a trattenermi. Non potevo non piangere in una situazione come quella. Era delusa, ed amareggiata. Distrutta sia fisicamente che interiormente.
Lukka scosse la testa senza parlare, e senza guardarmi. Poi si alzò sospirando, e si andò a sedere sulla poltrona. Ed io appoggiai la testa sul tappeto, sconfitta e turbata. Dal lato destro del labbro mi usciva un po’ di sangue, ma non ci feci caso. E ritornai a pensare ad Edward, quasi sorridendo. Il profumo delle sue camicie bianche appena stirate da Lily, il suo orologio nero di cuoio, la sua collana d’argento di Cristo, sebbene odiasse Dio, l’odore penetrante delle sue sigarette. Era così che volevo ricordarlo.

Il ventiquattro Dicembre 2005 successe una brutta cosa. Non sapevo perché i miei fratelli mi chiamavano Ventiquattro, e neppure volevo saperlo. Il mio vero nome (o almeno il nome che mi aveva dato Rechel) era Martha. Martha Robinson. E loro si ostinavano a chiamarmi Ventiquattro.
Era stato uno strano giorno: non mi avevano fatto niente. Non mi avevano ordinato di pulire niente, né di cucinare, né di cucire, né.. niente. Ed ero felice. E speranzosa, soprattutto, che i miei fratelli mi dimostrassero un po’ di amore. Dopo cena, preparata da una cuoca pagata solo per quell’occasione, volammo tutti in salotto. Io, come al solito, mi sedetti vicino ad Edward nell’angolo destro del divano a curva. Era il mio posticino. Lukka era per terra sul tappeto davanti a me, e Rikki sulla poltrona. Jeff era andato a prendere i regali. All’epoca avevo dodici anni. Sebbene fossi rigorosamente controllata quando guardavo la televisione, qualcosa del mondo sapevo. Non potevo guardare certi canali (avevo capito che si chiamavano telegiornali) oppure programmi che parlavano della società. Però, una volta, Jeff mi aveva costretto a guardare un canale porno con lui. All’inizio, non sapevo cosa volesse dire la parola porno. Poi me lo feci spiegare dal mio professore privato. Vedevo ragazze, belle e dolci ragazze, mezze svestite che facevano cose.. assurde per me. E Jeff si era innamorato di loro.
Alla vigilia di natale mi aveva regalato un completino uguale a quello di quelle ragazze. Calze a rete, scarpe rosse con un tacco di 8,5 cm e un completino intimo. Io ero sconvolta. Non volevo metterlo. Ma Jeff sembrava così felice, quasi credesse di avermi fatto il più bel regalo del mondo. Anche Lukka e Rikki sembravano entusiasti. L’unico un po’ scettico mi sembrava Edward, ma alla fine disse serio: “vai a cambiarti” e non potei contraddirlo. Non avevo mai detto di no ad Edward. Non potevo. Lui sapeva il mio punto debole più brutto. Non so come, ma lo sapeva. E avevo paura che lo svelasse anche agli altri, e se l’avrebbe fatto, la mia vita sarebbe finita. Ma quella sera, vedendo gli occhi illuminati di Jeff, che volevano e desideravano ardentemente che indossassi quelle cose, e gli sguardi speranzosi e quasi maligni dei gemelli dissi piano: “no”. E fu il devasto più totale.

Jeff che per poco non si andava a suicidare per il mio rifiuto, Rikki che mi frustava con la cinta, Lukka che mi urlava dietro di essere una puttana. Ed Edward? Nulla. Era immune a tutto questo. Forse troppo sbalordito per reagire. Continuarono a picchiarmi per quasi un'ora, quando il mio corpo non mi sostenne più. E allora mi misi a pregarli di smetterla. E non la smettevano! Penso di non averli mai odiati così tanto. Mai.
Edward, infine si alzò. E il mio cuore ebbe un tuffo. Sebbene Rikki fosse decisamente più manesco e scontroso di lui, Ed aveva un non-so-che che mi metteve paura più di tutti. Forse il fatto che fosse l'unico dei miei fratelli a cui volevo un minimo di bene, o forse per via del mio punto debole. Qualunque fosse il motivo, vedendolo alzarsi dal divano mi procurò un tremolio dalle labbra fino ai piedi. Mi sentì il sudore di ghiaccio, e il cuore che mi pulsava nelle tempie. Mi prese per l'avambraccio, in modo nemmeno troppo brusco, e mi fece alzare. Non osavo guardarlo.
"Vieni con me, Ventiquattro" mi disse infine, con una voce più triste che arrabbiata.
E lo seguii nel suo studio, preoccupata a morte, ma anche speranzosa.

CAPITOLO UNO
Lu, il Lunatico
 
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Alice_Cullen>3
view post Posted on 28/9/2009, 16:54




è FIKISSIMOO :wub: mi raccomando continuaaaaa
 
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